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IN ITALIA SI CUCINA SEMPRE MENO… – PAOLO CORVO

Paolo Corvo, Università degli Studi di Scienze Gastronomiche

Insegna “Culture del viaggio e dinamiche sociali” e “Media and Visual Sociology of Food” nella Laurea Triennale in Scienze e Culture Gastronomiche. Esperto di cibo, consumi e turismo enogastronomico sostenibile, si dedica anche alla ricerca sulla qualità della vita, benessere e felicità. Ha collaborato con enti pubblici e privati, concentrandosi su turismo, sviluppo territoriale, globalizzazione e società civile.

L’Italia è giustamente considerata un Paese con una significativa tradizione gastronomica: tuttavia negli ultimi decenni la pratica in cucina è diminuita, sia perché una buona parte delle persone consuma il pranzo fuori casa, sia per la mancata trasmissione del sapere culinario tra le generazioni. Si perdono così ricette tipiche, tradizioni locali, utilizzo di alimenti specifici, che rappresentano un patrimonio culturale inestimabile.

Anche a cena si ha poco tempo per cucinare e spesso si opta per l’happy hour, l’acquisto di cibo precotto, i surgelati, il cibo in scatola, la pizza d’asporto. Si è ormai diffusa la pratica di utilizzare i servizi di catering per le feste private, mentre i più abbienti invitano gli chef stellati per ricorrenze speciali.  Restano forse i fine settimana come occasione per sfoggiare le proprie capacità culinarie con i familiari e gli amici.

Vi è un altro aspetto sociale fondamentale da considerare: oggi cucinare rappresenta per donne e uomini soprattutto un piacere, un impiego alternativo del proprio tempo libero; preparare il pranzo o la cena non è più considerato un obbligo, un lavoro, per cui se non si hanno gli stimoli e le motivazioni per farlo in modo piacevole si preferiscono piatti pronti o si consuma il pasto fuori casa.

La perdita dell’abitudine al cucinare ha determinato il successo delle scuole di cucina. Un po’ dovunque proliferano corsi serali dedicati all’arte culinaria o riguardanti uno specifico alimento, di cui vengono presentati tutti i modi di cottura. Gli iscritti appartengono alle più diverse tipologie di età, scolarità, professioni. Tutti alla ricerca di un nuovo modo di esprimersi e realizzarsi attraverso la cucina e il cibo, recuperando il rapporto con la terra, la materialità, gli alimenti. Un grande successo riscontrano anche i percorsi professionali, che preparano al mestiere di chef, di pasticciere, di panettiere.

Un altro effetto dell’aumento di pasti fuori casa è la crescita dei locali di ristorazione, soprattutto nei centri delle grandi e medie città. Accanto ai ristoranti tradizionali si sono sviluppati tavole calde e negozi che vendono prodotti gastronomici da consumare in ufficio o passeggiando nella pausa pranzo (come si può notare ad esempio nelle zone centrali di Londra e New York, una prassi certo che può suscitare scalpore nei Paesi mediterranei!).

Da tempo anche i bar offrono panini e pizze, per cui l’offerta ristorativa si è allargata e può soddisfare vari tipi di clientela: il lavoratore pendolare o lo studente universitario che hanno solo mezz’ora di pausa per mangiare, il turista che vuole assaggiare i prodotti tipici locali e non ha problemi di tempo, il convegnista d’affari che ha in genere una buona disponibilità economica, il foodie che privilegia l’esperienza particolare e la raffinatezza. Nelle vie principali delle metropoli si hanno a disposizione molte possibilità per soddisfare le proprie esigenze e talvolta vi è solo l’imbarazzo della scelta, tra cibo tradizionale, locale, regionale, internazionale, etnico, vegetariano, vegano, biologico.

Naturalmente un aspetto fondamentale da considerare è la qualità dei servizi offerti, che deve sempre soddisfare l’esigenza dei clienti. La competenza e la professionalità degli operatori rappresentano un punto essenziale di ogni locale dedicato alla ristorazione. I clienti sono più informati di un tempo e possono manifestare la loro valutazione attraverso i social network. Vogliono provare un’esperienza unica di benessere e di gusto. La bontà del cibo è determinante ma occorrono anche un’organizzazione adeguata e un ambiente stimolante. Ci sono locali che stanno dedicando appositi spazi da utilizzare prima e dopo il pasto per momenti di relax e di conversazione.

Come possiamo notare ci sono molte attrattive che spingono le persone a uscire di casa per consumare i pasti. Sarà interessante verificare se in prospettiva si verificherà un ritorno alla pratica culinaria, con una riappropriazione dell’uso del tempo, compresso tra gli impegni lavorativi e le altre incombenze della vita quotidiana.

In effetti durante il COVID c’è stata una certa ripresa del cucinare, ristoranti e bar erano chiusi e la gente era costretta in casa. Questa tendenza si è però ridimensionata dopo la fine delle restrizioni pandemiche, che ha registrato un recupero della ristorazione. Anche chi lavora qualche giorno della settimana presso la propria abitazione con lo smart working preferisce ricorrere più comodamente al food delivery, prenotando il pranzo online.

Auspichiamo che la pratica del cucinare resti diffusa, per consolidare il nostro sapere gastronomico, anche innovandolo con l’apporto di altre tradizioni. Un ruolo importante può essere assunto dalle famiglie e dalle mense scolastiche delle scuole primarie, dove i giovani allievi possono essere informati sui modi di cottura e sulla composizione dei piatti con una narrazione efficace.